Un ricordo dei primi anni della Festa del priore dei Canneti Orfeo Sorbellini (e padre del Barbarossa) scritto per L’Urlo del Drago e pubblicato nel primo numero di gennaio 2000.
Un testo molto bello, che rispecchia, la cultura, l’ironia, lo stile inconfondibile di Orfeo, dedicato ai più giovani che non l’hanno conosciuto e a chi ha vissuto quegli anni, quella festa e quella San Quirico.
“La nostra Festa del Barbarossa (la rievocazione in costume del suo passaggio per San Quirico di quasi ottocentocinquant’anni fa) è entrata ormai nella sua seconda età, come nella loro seconda età sono entrati per nascita tutti i rioni o quartieri o, per dirla alla senese, le nostre contrade. Nacquero e, com’era naturale in terra di Siena, nacquero già grandi con confini ben delineati, tamburi, bandiere, gare, vincitori e vinti, entusiasmi e bisticci, previsioni sicure e sconfitte da non dire. Certo Siena è fuori campo: lei ci ha il Palio, è la regina delle feste, ma anche noi ci abbiamo una certa vita con sfottò, pranzetti e merende che non hanno niente da invidiare a quelli della sorellona maggiore.
Emblema della festa è il tiro dell’arco; questo ce l’ha anche Montalcino, ma subito occorre una chiarificazione: con Montalcino noi abbiamo debiti, ma anche crediti. Montalcino ci insegnò costumi e quartieri prima di noi, nell’arco ci han seguiti di un’annata buona e tra le loro gare e le nostre ci corre quanto tra il giorno e la notte.
La nascita dei Quartieri non fu per noi difficile: ce li creò la storia e la natura del luogo. San Quirico era nato per un grumo di casette spuntate su quello che si chiama Poggio, case di povera gente. Verso la fine del V-VI secolo quel niente fu interessato da un fenomeno eccezionale: cominciarono a passare, dapprima poche poi sempre in numero maggiore, genti venienti dai paesi del nord, Francia, Germania, litanianti, bordone per appoggio, tutte tese a portarsi a Roma per chiedere sulla tomba di San Pietro il perdono dei loro peccati. Erano i pellegrini: che peccati avessero fatto Dio solo lo sa, per norma sarebbero dovuti andare alla tomba di Cristo, ma quello era andato a morire di là dal mare e Roma era quello che ci voleva. In una parola nel 715, senza il mille, dove ora è la Collegiata c’era già un battistero e dove ora passa incassata la strada romana già allora passavano a centinaia i pellegrini: il Poggio si riempiva di case di mattoni, rossicci, ed il Castello era già predisposto ad esserne la contrada. Dopo il Castello non c’erano più case, ma una strada contorta che puntava verso Roma; sul ciglio, verso la valle, una chiesetta, Santa Maria. Anche quella strada si riempì di case, con botteghe buie, nere; nel 1257 due file di mura le chiusero e le unirono al sistemato Castello e San Quirico dentro le mura si avviò ad essere quello che è ora, con un secondo quartiere che se avesse avuto un colore non poteva che essere quello che in realtà ha poi preso, cioè il Borgo col suo bianco-nero. Certo aveva mura e porte, ci aveva anche un’alta torre ed ora non ci son più: bisognerebbe rifargliele? Nel 1600 i Chigi che al paese, loro feudo, avevano dato l’incomparabile palazzo, vollero aggiungere anche un ampio fienile, fuori dalle mura, verso il sole e la Val d’Orcia. Era erbato con file di olmi. Per le fiere si riempiva di bovi dalle corna lunate, nei giorni di lavoro serviva ai cordai, ai giocolieri di passaggio, agli zingari ed alle greggi di maremma. Ai due estremi poche case. In questo dopo guerra, specie negli anni 50 e 60 i suoi spazi si riempirono di case: un terzo quartiere, il Prato col suo colore verde, si aggiungeva ai due storici. San Quirico era straripato.
Per ultimo fra i quartieri nacque il nostro, i Canneti. Per esso c’era solo il nome, per una sua parte un po’ acquitrinosa, non c’era una sola casa; durante la prima guerra vi era sorto l’ospedalino e nel 1929 l’apertura della Porta Nuova l’aveva legato al paese. Ma era una zona solatia, nei suoi pratini si andava a giocare ad usse, d’estate a far merenda ed il primo di quaresima a farci i rivolti. Presto verso gli “stalloni” si alzarono le prime case (Marchini, poi Bossini), alla Torre vi sorse il podere di Giacomo, con l’apertura della Via Nuova ecco nascere le case dell’INA, il cinema, ecc. Nel 1962, anno di fondazione del Quartiere, le famiglie residenti erano già ventisei. Certo collo spedalino vi era la Misericordia, la farmacia, il pronto soccorso ed anche le casse da morto (auspici invero non meravigliosi), ma il Cinema aveva programmazioni giornaliere e le famiglie Casini, Micheli , Morelli Papini, ecc. erano superattive. Ecco il direttivo ed i figuranti dell’anno 1966: Mario Casini capitano, con aiutanti Giulio Morelli, Francesco Toti, Erus Micheli, Gualtiero Generali, Siro Zamperini ed Agostino Peruzzi (questi però abitavano l’uno a Riguardo e l’altro a Celle). Paggio era Luigi Peruzzi e dama Gabriella Bonari, Mario Pieri era il tamburino, Giuseppino Ciacci e Mario Morelli erano gli alfieri, Carlo Casini ed Angelo Zacchei gli arcieri.
Un quartiere quindi di poche famiglie, ma unite ed attive, cene di rione fin dal 1964/65 e persino festicciole alla Chiesa di Riguardo, già da allora la nostra chiesa. Ormai il rione è esploso, dilatato; si è riempita di case la collina dai Canneti al Palazzuolo, ha superato già questo e punta quasi verso Riguardo, la sua superficie abitata è superiore a quella del nostro vecchio paesino. Oltre all’ospedalino, ha farmacia, cooperativa, agenzie automobilistiche, è sede di ditte edili, ha parrucchieri, ristoranti, alberghi, piscina e laghetto: ha quello che vuole e soprattutto è pieno di ville fra le più belle della provincia.
Per fare un confronto con i quartieri del passato basta vedere quali erano le ditte che apparivano nel pieghevole del Barbarossa 1966: Mario Casini presentava la programmazione dei suoi Films, uno ogni giorno, Giovanni Andreucci, Dino Ciolfi, Garibaldi Zamperini ed Agostino Nannetti pensavano alle auto, Emiro Farnetani, Mario Papi e Mario Nannetti alle carni, Ottavio Bigliazzi alle scarpe, Rema agli alimentari, Omero e Flavio ai tessuti. C’era anche Mery per lavare, Egisto per le corde, Giorgio Bracci per gli articoli da caccia e pesca, l’Effe-Gi creava indumenti intimi, l’Etruria camere provenzali e Lido Chechi quelle veneziane, la Solet lavorava i travertini e la Coop faceva case. Dario Mazzantini proponeva acconciature di classe, Lido Garosi carte da parati, Luigi Marchini cosmesi, Romano Ravagni bagni e la Sampieri e Del Fa manutenzioni per elettricità e ferrovie. Tralascio le ditte ancora tese alla loro vita e noto che tra i nomi riportati ci sono quelli di tanti che ci hanno lasciato, penso che proprio a questi affezionatissimi alle nostre feste e sempre pronti alla massima collaborazione vada il nostro ricordo più sentito e più affettuoso: da parte mia senz’altro anche un arrivederci a presto.”